Le scriventi OO.SS. SAPPE, UIL PA, SINAPPE, CISL FNS, CNPP e CGIL FP  sono venute a conoscenza, in modo informale, di un protocollo operativo di prevenzione del rischio auto lesivo e suicidario stipulato tra la Direzione di Bologna e l’Asl competente.

Pur concordando sull’obbiettivo alla base di tale programma, ovvero di dare vita ad una rete capillare di attenzione generica che possa cogliere tempestivamente i segnali di disagi prodomici a gesti anticonservativi, ci duole rappresentare come al Personale di Polizia Penitenziaria sono stati affidati ulteriori compiti i quali non certo rientrano tra i compiti istituzionali  nè tantomeno nelle conoscenze e competenze per cui sono stati formati.

Innanzitutto in tale programma emerge come gli operatori maggiormente coinvolti sono quelli Sanitari e di Polizia Penitenziaria, e, solo residualmente, i funzionari giuridici pedagogici che

tra i loro compiti tipici hanno, attraverso colloqui, proprio l’osservazione scientifica della personalità..

L’art.4, 4 capoverso recita testualmente “In considerazione di ciò, i Responsabili di ciascun Reparto avranno cura di tenere periodici colloqui individuali con tutti i detenuti classificati a rischio al solo fine di verificarne lo stato d’animo, sentendo con maggiore frequenza i soggetti classificati a “Rischio medio B”” Or bene da ciò si deduce che è in capo al Ruo un vero e proprio obbligo di effettuare dei colloqui frequenti con tali ristretti per capire il loro stato d’animo pur consapevoli che il principale compito della Polizia Penitenziaria è quello di garantire l’ordine e la tutela della sicurezza all’interno degli istituti oltre che a partecipare, in via residuale, alle attività di osservazione e trattamento nell’ambito dei gruppi di lavoro.

Innanzitutto non si comprende come mai, all’atto dell’ingresso in Istituto, non vi è più la figura dello psicologo in quanto questa figura professionale effettua una lettura dell’impatto che l’esperienza dell’arresto ha avuto sulla struttura di personalità del paziente/detenuto. Tale competenza è stata attribuita al medico generico che, di fatto, non ha le competenze specifiche di uno psicologo e, non riuscendo a valutare l’effettivo grading di rischio, se non attraverso un questionario prestampato dai cui coefficienti si dovrebbe capire il disagio, ricorrerà presumibilmente ad invii in osservazione psichiatrica e/o sorveglianze a vista.

 Il Carcere è una potenziale esperienza traumatica: che può esacerbare condizioni psicopatologiche preesistenti, ma anche indurre sintomi mai comparsi precedentemente

La gravità del trauma non è insita nell’evento, ma deriva dall’interpretazione soggettiva dello stesso e lo Psicologo formula una prima ipotesi sul funzionamento psichico del paziente, mappa le sue risorse cognitive, affettive, relazionali, la capacità di mediazione con il contesto, la capacità di tolleranza alle frustrazioni, la progettualità futura.

In sinergia con l’equipe multidisciplinare contribuisce a valutare il rischio di azioni auto ed etero lesive, il rischio suicidario. Per questo non si può far ricadere sulla Polizia Penitenziaria le incombenze delle assenze di altre figure professionali pur sapendo che non sono titolati e non sono competenti a farlo. Se consideriamo che, chiunque entra in un carcere  lascia i propri affetti le proprie abitudini,  è un potenziale soggetto a rischio è facile immaginare quanti colloqui al giorno dovrà fare un Responsabile di unità operativa

Non si può pretendere che la Polizia Penitenziaria supplisca e si assuma le responsabilità oltre che dei ragionieri, segretari…. ora anche di educatori e medici specialistici.

La Polizia Penitenziaria, come ha sempre fatto sino ad oggi, è opportuno che segnali casi di eventuali situazioni di disagio di cui venga a conoscenza, ma di certo non è titolato a riconoscere da colloqui con gli stessi eventuali mutamenti dell’umore, tra l’altro imprevedibili.

Ancora oggi si continua a prevedere la sorveglianza a vista del detenuto per ragioni sanitarie ad opera della Polizia Penitenziaria Nel caso di specie l’osservazione particolare del soggetto è richiesta specificatamente per motivi sanitari; viene da se che il personale più idoneo a svolgere tale compito é proprio il personale infermieristico/sanitario che, in caso di eventi particolari, è deputato ad intervenire nella maniera più corretta.

A tal riguardo intervengono le circolari 25 novembre 2011 intitolata "Modalità di esecuzione della pena. Un nuovo modello di trattamento che comprenda sicurezza, accoglienza e rieducazione" e la circolare n. 3649/ 6099 del 18 luglio 2013 intitolata, "Linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti", che focalizzano l'attenzione in tema sia della prevenzione che in ambito d'intervento terapeutico, ribadendo appunto l'inserimento del detenuto sorvegliato a vista, in un ampio processo trattamentale che deve impegnare tutte le aree, ma di cui sono titolari e responsabili l'Area Educativa e/o Sanitaria, non la Polizia Penitenziaria, quest’ultima chiamata a collaborare e non già ad assumere oneri per fatti che esulano dalla sua specifica competenza professionale.

E siamo certi che tale programma operativo, come già accaduto nei primi giorni di entrata in vigore di tale protocollo, provocherà un’aumento esponenziale al ricorso di tale istituto!!!

Se poi si considera che ultimamente anche al Reparto Femminile, ove vi è un ROP, sta diventando prassi consolidata disporre la sorveglianza a vista è facile comprende che aggravio di lavoro andrà a pesare sulla Polizia Penitenziaria.

Altro argomento discutibile è la sempre più condizionante indicazione di  “camera condivisa” Una volta che il ristretto è stato dimesso dal Polo accoglienza continua ad insistere la raccomandazione della camera condivisa pur sapendo che il detenuto entra in un regime di custodia aperta dove per 12 ore giornaliere lo stesso potrebbe rimanere da solo e, se avesse intenzioni  suicidarie lo farebbe approfittando anche dei momenti in cui il compagno di camera è assente per svariati motivi.  In pratica tale prassi sta complicando solamente il lavoro della Sorveglianza Generale, in particolare quando si tratta di soggetti con camera condivisa non gradita alla restante popolazione detenuta, motivo per cui si è costretti alla sorveglianza a vista al fine di tutelarli ed autotutelarsi.

Per quanto sopra si chiede di revocare immediatamente tale protocollo e di studiare nuove linee guide meno restringenti e che soprattutto non vadano a gravare in modo così massiccio sull’operatività e sulla responsabilità della Polizia Penitenziaria.

Sappe

UILPA

Sinappe

CISL

CNPP

CGIL

f.to Borrelli

f.to Maldarizzi

f.to D’Amore

f.to Bozzo

f.to Ranno

f.to Soletta